-

La Battaglia di Pavia

La Battaglia di Pavia

Gli eserciti in campo

Il padrone del campo di battaglia del 1500 era ormai diventato il fante armato di ujna lunga picca. Furono gli svizzeri a formalizzare la tattica della fanteria armata con picca. Grossi quadrati, profondi 24 ranghi, e larghi come due campi da calcio, si muovevano velocemente sul campo di battaglia, attaccando e travolgendo tutto quello che trovavano di fronte. Alla fine del 1400 apparve sul campo di battaglia un antagonista molto pericoloso, il fante lanzichenecco. Si trattava di soldati, in tutto e per tutto simili agli svizzeri, ma provenienti dalla Germania del Sud e dal Tirolo. Stesso armamento, la picca, e stesso vestiario, il più eterogeneo e multicolore possibile, ma in numero molto elevato. Questo fece abbassare il costo del mercenario e creò un attrito insanabile fra mercenari svizzeri e tedeschi che portava invariabilmente a scontri all’ultimo sangue, quando si incontravano sui campi di battaglia.

Un altro elemento venne a modificare gli equilibri preesistenti: la diffusione sempre maggiore delle armi da fuoco. Non erano precise, e funzionavano molto male o per nulla durante il cattivo tempo, ma erano numerose, e la combinazione armi da fuoco e trinceramenti, che venne ben presto applicata sul campo di battaglia per contenere i quadrati, si rivelò micidiale, ed alla lunga vincente.

L’ultima arma, la cavalleria, rappresentava ancora la regina delle battaglie. La cavalleria pesante spazzava tutto quello che si trovava davanti, ad eccezione del quadrato di picche, sempre che questo fosse sufficientemente stabile, il che a volte non era. Ma la cavalleria nel combattimento rappresentava un’arma rischiosa, da utilizzare una volta sola, e purtroppo poco duttile: la cavalleria pesante o caricava, o stava ferma. Fondamentale per l’esito della battaglia era quindi come e dove schierare la cavalleria, perché non ci sarebbe stata un’altra opportunità.
 

I prodromi della battaglia

La battaglia di Pavia si inserisce nel contesto delle guerre d’Italia fra spagnoli e francesi. Francesco I di Francia decise di invadere l’Italia nel 1523. Dopo alterne vicende, l’esercito francese, comandato dal Re Francesco I in persona, assediò la città di Pavia, tenuta da 6.000 spagnoli. La città era dotata di una cinta di mura praticamente invalicabile. A sud era protetta dal Ticino, ed a nord era circondata da un ampio Parco di caccia protetto da un muro alto circa 4 metri, anche quello in sostanza invalicabile.

La battaglia di Pavia

Gli spagnoli attendevano il momento opportuno per contrattaccare accampati attorno all’area di Belgioioso a circa sei ore di marcia da Pavia. Altri rinforzi li raggiunsero, ma non sufficienti per accettare una battaglia con i francesi. Ma Lannoy, il comandante spagnolo, non aveva tanto tempo a disposizione. A Pavia i soldi per pagare i mercenari erano finiti. Quando finivano i soldi, i mercenari reagivano inevitabilmente in due modi. Prima di tutto se li prendevano predando tutto quello che era loro a tiro, e poi disertavano in massa verso il più vicino nemico. L’esercito spagnolo era molto vicino a questo punto di non ritorno. Lannoy tentò allora un colpo di mano: il re Francesco era stato segnalato presso un castello al centro del Parco: perché non provare a catturarlo con un colpo di mano? Ad un segnale prestabilito, le truppe nella città avrebbero tentato una sortita,e questo avrebbe permesso agli spagnoli di rimpolpare le casse dei mercenari, e forse di estrarre la guarnigione più o meno intatta.

Alle 10 del 23 di febbraio del 1524 l’esercito spagnolo si mise in marcia. Era costituito da circa 24.000 uomini. Una volta arrivato a ridosso del muro, l’esercito spagnolo ne seguì il percorso fino ad arrivare a nord del parco. Alle due del mattino i genieri iniziarono a creare dei varchi per permettere alla fanteria di entrare. Man mano che affluivano, parte dei lanzichenecchi si misero in formazione, e parte della cavalleria di mosse verso est, cercando una area in cui schierarsi.

Ed i francesi? Un fattore da considerare è che era notte, in una zona dove la nebbia porta la visibilità diurna a febbraio è non più di cinquanta metri. Qualcosa però li allarmò: gli spagnoli iniziarono a spiegare pattuglie di esploratori in direzione del castello di Mirabello, nella speranza di sorprendere il Re, e verso sud, per localizzare gli svizzeri.

Alle 5 il primo quadrato di lanzichenecchi, forte di circa 8.000 uomini, era pronto per avanzare, mentre la cavalleria si portava verso destra, cercando di localizzare il Re francese. Il primo scontro si ebbe poco dopo. 3.000 svizzeri si erano messi in marcia da sud, ed intercettarono i lanzichenecchi in movimento. La mischia che ne seguì fu sanguinosa, come al solito, e nonostante la ferocia della loro resistenza, gli svizzeri vennero annientati dopo un’ora, anche perché un secondo quadrato tedesco era sopraggiunto.

Nel frattempo il re, il cui quartiere generale era stato spostato verso est, era montato a cavallo, e con lui tutto il fior fiore della nobiltà di Francia. Il terreno non era ideale per uno scontro di cavalleria, ma l’unica cosa che i Gens d’Armes potevano fare era caricare, e lo fecero contro tutti i nemici che si trovarono di fronte. La cavalleria spagnola, inferiore di numero e di qualità, venne spazzata via, ma dai boschi iniziarono a sopraggiungere nugoli di archibugieri tedeschi. I Gens d’Armes erano bloccati. Quasi impossibile ritirarsi. Immobili nel fango, bersagliati dal fuoco ed attaccati all’arma bianca dagli archibugieri e quindi da un terzo quadrato di picchieri, la cavalleria francese venne praticamente annientata. A poco valse l’intervento di un quadrato di Lanzichenecchi al soldo dei francesi. Anche lui venne distrutto dopo una feroce mischia. Per le 8 del mattino la battaglia era terminata: circa 12.000 giacevano morti sul campo di battaglia, e l’esercito francese era stato posto completamente in rotta. Francesco I di Francia venne salvato da un nobile spagnolo che lo riconobbe e lo sottrasse alla furia dei fanti spagnoli che si stava preparando ad ucciderlo. Pavia era libera, e la campagna del Nord Italia terminata. La pace si concluse nel 1526, quando Francesco I fu finalmente libero di tornare in Francia.

Il Diorama

Il diorama rappresenta il punto critico della battaglia: I lanzichenecchi sono impegnati contro il quadrato svizzero, mentre sulla sinistra la cavalleria è circondata dagli archibugieri tedeschi che ne fanno strage. Sulla sua destra i picchieri lanzichenecchi al soldo dei francesi si apprestano a contrastare i loro compatrioti al soldo degli spagnoli. L’artiglieria francese non riuscirà mai ad intervenire, ed asseterà impotente allo svolgersi della battaglia.

 

Testo: Fabrizio Ceciliani

Miniature: 15 mm piombo, Collezione Fabrizio Ceciliani e Marco Caja.